Durante la recente edizione del Bologna Children Bookfair è stato assegnato il premio Strega ragazze e ragazzi per la categoria «Narrazione per immagini» e per la prima volta, il riconoscimento è andato a un fumetto, I Pizzly di Jérémie Moreau, pubblicato da Tunué. La storia racconta di Nathan, un giovane parigino che vive con i fratellini Etienne e Zoe, dei quali si prende cura da quando la madre dei tre è morta. Per sbarcare il lunario, Nathan guida un BMW come autista di Uber. In evidente stato di burn-out ha un incidente che cambierà la loro vita: è Ann, la passeggera che sta trasportando, a proporre loro di mollare tutto e andare in Alaska, dove lei sta tornando dopo aver vissuto 40 anni a Parigi. La decisione drastica avrà notevoli ripercussioni sulla vita dei tre fratelli, a partire dalla manifestazione di episodi di astinenza dai dispositivi tecnologici, per arrivare alla constatazione della loro inadeguatezza alla vita in un contesto ambientale estremo, sebbene ormai fortemente sconvolto dall’intervento umano. Abbiamo conversato con l’autore al Bologna Children’s Bookfair dopo la premiazione.

Leggendo il tuo libro si ha l’impressione che la storia si articoli tra il tema dell’influenza della tecnologia nelle nostre vite e l’impatto della nostra presenza sul pianeta in termini di cambiamento climatico. È così?
Da tempo mi appassiona il tema dell’ecologia, ma l’ho sempre trasposta al passato, nel XVIII secolo in Alaska con La saga di Grimr o nella preistoria con Penss e le pieghe del mondo; con Il discorso della Pantera, non ancora uscito in Italia, ho spostato addirittura questo tema al regno animale. La crisi climatica è una tematica davvero enorme da affrontare. Mi sono però documentato per questo lavoro e mi sono imbattuto in un libro che parla di un fenomeno realmente diffuso tra gli autisti Uber che perdono il senso dell’orientamento per l’eccessivo utilizzo del GPS. Quindi non solo i pizzly- nati dall’incrocio dei grizzly con gli orsi polari- sono reali, ma anche questo elemento che caratterizza Nathan lo è. Ho pensato che potesse essere una premessa interessante per scrivere un libro. Nella sua ricerca di empowerment l’uomo sembra perdere abilità primordiali e importantissime, come la capacità di ritorno al nido. Perde queste abilità eppure si pensa superiore, unico depositario di competenze tecnologiche che gli permetteranno di andare oltre e divenire più potente.

Il rapporto tra la cultura umana e il contesto storico specifico è anche la cifra dei libri precedenti che hai citato la «Saga di Grimr» e di «Penss tra le pieghe del mondo». Abbiamo effettivamente una certa disponibilità a cedere delle caratteristiche fondanti della nostra natura a favore delle tecnologie, convinti che possano aiutarci, ma si tratta di un’illusione visto che per esempio, Nathan continua ad avere i suoi episodi di allucinazione e a perdere la strada anche in Alaska, quando ormai non ha più dispositivi a portata di mano.
La tecnologia è per noi una specie di stampella gigantesca: di recente nel libro Il mondo senza fine (Oblomov, 2023) del climatologo Jancovici, disegnato da Blain, c’è un grosso Iron man, e Nathan è un po’ come lui. Ha un’armatura della quale si spoglia perché sta impazzendo dalla frustrazione: non riesce a far rientrare dentro di sé i percorsi che ha di fronte, non riesce a mappare il territorio, perché a forza di ascoltare le vocine del navigatore che gli dicono da che parte andare è svuotato da questa capacità primordiale. Per questo si spoglia e inizia a camminare a quattro zampe come un orso, come un pizzly.

Nathan si riappropria di questi percorsi piantando dei paletti nel terreno, un gesto del tutto diverso da quello di comunicare un indirizzo a un’intelligenza artificiale collegata alla tecnologia satellitare…
Sì in effetti si arrangia come può, con un po’ di astuzia, ricorda un po’ Pollicino.

La sostenibilità, non solo ambientale, ma anche economica nelle grandi città, è costantemente messa in discussione: la difficoltà che Nathan trova nel mandare avanti la sua vita e quella dei fratellini ne è un esempio…
Sul lato sociologico della sostenibilità sono meno ferrato, però per quanto riguarda la vita dei conducenti Uber, che si sono inventati una professione, la vita è effettivamente terribile. Fanno turni massacranti, se hanno un incidente tutto ricade su di loro, guidano nel traffico per ore…a Parigi ce ne sono moltissimi ovviamente che lavorano nel contesto di una forte pressione sociale. Nel racconto ho usato trucchi da narratore, estremizzando la condizione dei personaggi: la madre dei fratellini è morta e Nathan deve prendersi cura di loro.

Questa vicenda e il mestiere che hai scelto per il protagonista ti portano a disegnare gli episodi di spaesamento di Nathan, in cui il protagonista perde le coordinate della realtà. Soprattutto in queste tavole l’uso del colore è molto significativo ed è del tutto innovativo rispetto al tuo stile precedente.
Il colore digitale arriva ne Il discorso della Pantera e coincide con il passaggio alla casa editrice 2024 il cui catalogo mi ha influenzato molto, così come dalle produzioni con colori fluo di Spin Off, la fiera underground il festival di Angoulême. Ho scelto un codice grafico che mi permettesse di suggerire il fenomeno dello spaesamento e della perdita dell’orientamento, la scelta è ricaduta sulla presenza cromatica di questo magenta fluo. In generale ho paura di ripetermi e amo cercare nuove possibilità espressive, quindi sono passato dagli acquarelli dei libri precedenti al colore digitale.

Inoltre durante il lockdown ho letto e riletto i libri di Babar, l’elefantino- che adoro-e la sua linea chiara e semplice, molto leggibile mi ha influenzato per Il discorso della Pantera. Ho trasferito alcuni elementi di quel libro a I Pizzly, gli animali, per esempio, e anche l’occhio realizzato con un unico puntino nero. Ho pensato che se gli animali avevano occhi fatti con un puntino, anche gli occhi degli uomini potevano essere rappresentati così. Se li avessi disegnati in modo realistico avrei suggerito che l’umano possiede «un supplemento d’anima» e non era proprio quella la mia intenzione.

Una scelta azzeccata che nel suo minimalismo conserva l’espressività drammatica. Anche il layout della pagina contribuisce a creare un notevole dinamismo, contribuendo al ritmo dell’azione ma anche a trasmettere il sentimento di angoscia di Nathan.
Sì, ho creato un parossismo nella costruzione delle tavole, con vignette ritagliate in modo inusuale, come già era successo in Penss e le pieghe del mondo. L’organizzazione della tavola risponde all’esplorazione delle possibilità del fumetto e riflette dell’emozione che quella sequenza deve trasferire al lettore. Uso la metafora della musica: come in una sinfonia, c’è un’introduzione in cui si lancia un tema, poi una scena d’azione con un elemento scatenante, nel quale normalmente posso tagliare e sminuzzare le vignette; a seguire forse un momento di calma, nel quale opto per vignette rettangolari e orizzontali e poi il movimento accelera e come un’esplosione si arriva alla doppia splash page, un momento fondamentale, come è evidente qui ne I Pizzly. Fa tutto parte della ricerca di un ritmo narrativo equilibrato. In questo caso c’è un prologo di tre pagine, e la splash con Nathan sospeso per aria, senza automobile, sullo sfondo notturno di Parigi illuminata: c’è già tutto il senso del libro, in questo protagonista perso, sradicato dal territorio. È anche un’anticipazione a una tavola simile che coincide con la fine dell’introduzione.

E forse anche il paesaggio notturno parigino bellissimo e contaminato che fa da sfondo al primo «volo» di Nathan anticipa il tema ecologico…
Per me quella è una delle immagini forti del libro; c’è un libro di Bruno Latour che si chiama Où atterrir? (tradotto in italiano per Einaudi col titolo Dove sono?, nda) che mi ha molto colpito, perché spiega come l’uomo occidentale moderno abbia alimentato la propria voglia di decollare dalla terra, andare verso Marte, superare le malattie, la morte, in un sogno che ha accompagnato tutto il XX secolo, ma che oggi crolla, perché totalmente fondato sullo sfruttamento delle risorse del pianeta, che sono limitate. Latour crea questa magnifica metafora di una civiltà che decolla ma che non sa più dove sta andando, né come trovare la strada per tornare e atterrare sulla terra. E questa è la stessa traiettoria di Nathan.

Veniamo all’animale Pizzly, che come spiegavi è un incrocio esistente in natura tra l’orso polare e il grizzly. È la risposta naturale e intelligente all’intervento umano ma anche un personaggio simbolico, portatore di valori arcaici e di cambiamento?
Leggo molti pensatori della teoria ecologista. Quel che ho capito è che l’idea dell’essere umano che l’evoluzione sia un processo che dura da milioni di anni va ripensata, poiché adesso le cose cambiano molto in fretta. Fa piacere leggere cose ottimiste, per esempio il naturalista Gilbert Cochet, il cui libro si chiama L’Europe reensauvagée (Actes Sud, 2022), racconta come negli anni ’70 ci fosse coscienza di essere all’orlo della catastrofe ecologica, che le riserve naturali fossero state distrutte, ma quando l’industrializzazione si è concentrata nelle valli e nelle zone pianeggianti ci si è accorti dell’inselvatichimento delle zone che venivano lasciate a sé stesse, in questo caso delle montagne. Come delle braci che continuano ad ardere, la natura non si estingue, anche se lasciata in pace, poi riprende vigore con forza. Ecco, i pizzly rappresentano questa forza: non ci sono voluti molti anni per arrivare a un cambiamento come questo. In venti anni il riscaldamento climatico ha provocato l’incontro di due specie in un territorio divenuto comune, due specie che hanno metodologie di sussistenza totalmente diverse- l’orso polare è un cacciatore carnivoro, il grizzly è onnivoro. Da questo incontro nasce un cucciolo di una nuova specie che ereditando due culture, ha molte più risorse per la sopravvivenza. Estendendo il concetto, i protagonisti umani Nathan, Etienne e Zoe, sono come i pizzly, hanno ereditato la cultura della tecnologia contemporanea nella città europea e quella ancestrale degli indiani di Alaska con i quali sono venuti a contatto grazie a Ann. In una scena in cui devono costruire una barca si nota questa sintesi di pensiero: l’allestimento di una barca tradizionale avviene grazie a un tutorial di internet.

«I Pizzly» sono una riuscita metafora, un punto di sintesi del nostro impatto occidentalizzato sull’ambiente nei territori che pensiamo incontaminati, che riguarda anche la diffusione di pratiche occidentali tossiche, in un contesto legato a valori completamente diversi.
C’è un altro libro che cito anche nei ringraziamenti, Le anime selvagge: la resistenza di un popolo in Alaska di fronte all’Occidente (non ancora tradotto in italiano), di Nastassja Martin un’antropologa che ha visitato l’Alaska con l’intenzione di studiare le culture animistiche ma che è rimasta sconvolta dall’evidenza del cambiamento climatico, trovandosi al cospetto del potenziale futuro del mondo. Nel libro si capisce la sua sorpresa all’odore costante del fumo, i fuochi che ardono ovunque, gli animali smarriti che non riescono a trovare i loro sentieri di migrazione o riproduzione, i salmoni che risalgono acque inquinate; la studiosa si trova a osservare quindi una metamorfosi del mondo. L’animismo però c’entra molto con tutto questo poiché ha a che fare con il modo in cui ci relazioniamo con il mondo, è una forma religiosa e culturale in cui lo sciamano cambia e si trasforma per entrare in relazione. C’è un’opposizione grafica forte tra città e natura: l’uomo ha trasformato la natura in modo geometrico utilizzando dei moduli riproducibili in modo seriale.

Questo contrasto nel libro è sottolineato dalle linee dritte e dai colori grigi, in contrasto con le linee più armoniche e la varietà di colori che rispecchiano la comparsa delle stagioni. Questo mondo si cancella, non soltanto nella testa di Nathan perché perde l’orientamento, ma anche nella realtà, quando il mondo va verso la cancellazione di sé stesso.